Perestroja e Er Professore annoiati alla festa

Er Professore racconta
Mi stavo davvero annoiando a quella festa… gente che ballava e rideva come dei coglioni, eccitati per della musica banale e quel minimo di alcol nelle vene da mandare su di giri solo gente come questa che beve quell’unico giorno a settimana per scaricare una routine più banale di quella musica.
Non è colpa mia se mi sono ritrovato qui, seguendo il mio amico che ogni tanto ha questi colpi di genio… o è solo la giustificazione che sto dando a me stesso per non sentirmi come loro?
Tra quelle critiche e introspezioni che mi stavo facendo davanti a quel bicchiere di Vodka con cui stavo condividendo la serata, il mio occhio notò qualcosa che stonava in quel posto, per la sua sicurezza e quel fascino esaltati ancora di più da quei tacchi e quel vestitino così corto da lasciare scoperta la pelle di quelle gambe così lunghe tra l’autoreggente e il vestito, non appena accavallasti le gambe e i nostri sguardi si incrociarono.
In un primo momento non capii se mi avessi notato, visto che ti girasti subito e non mi sembrava per timidezza, quindi cercai di non farci troppo caso… cercai… e fu molto difficile riuscirci per i primi cinque minuti.
Guardai la mia compagna Vodka, poi mi voltai di nuovo verso di te e bastò un attimo per incrociare di nuovo i nostri sguardi e capire che non ero l’unico che si stava annoiando in quel locale e probabilmente che anche quell’attenzione particolare non era a senso unico… ma non me lo feci capire subito… o almeno non lo capii finchè non apristi il suo sguardo a me con un leggero sorriso malizioso, ma anche d’imbarazzo verso quel posto e quelle persone.
Iniziai a pensare a mille modi per approcciarti in quel momento ma mi prendesti così alla sprovvista, e allo stesso tempo mi facesti sentire eccitato come un toro, quando ti alzasti andando verso il guardaroba, che quella sera era vuoto e isolato perché estate, seguendo il mio sguardo e mostrando quella scollatura involontariamente (o forse no) che faceva fatica a contenere quel seno. Ti vidi sparire in quel buio e mi alzai cercando di non farmi notare troppo dagli altri, entrai anche io nel guardaroba e in un primo momento non ti trovai, anche se non era completamente buio, ma ancora ricordo la tua mano, quando sbucasti da dietro afferrando il mio cazzo attraverso i pantaloni, che in quel momento era già bello barzotto per la situazione ma ancora non del tutto marmoreo come invece sarebbe diventato pochi istanti dopo nella tua mano.
“Cavolo che ragazzaccia che abbiamo qui” dissi sorridendo, e sentii il tuo respiro vicino il mio orecchio mentre mi dicevi “questa sera mi sento davvero troia, vuoi una fidanzatina da presentare ai genitori o vuoi scoparmi la fica come se fosse l’ultima notte su questo pianeta?” Ricordo ancora la forza con cui mi girai e ti afferrai la mano togliendola dal mio cazzo per sollevare il tuo corpo sul bancone dietro di te e infilarti la mia mano sotto quel vestitino da puttana, per sentire quanto fossi eccitata. Il mio cazzo diventò marmo non appena sentii che non indossavi le mutandine e che la tua fica era già così calda e bagnata. Il tuo sguardo, quello sguardo così innocente ma anche così da troia, che mi fissava, mi fece salire quel desiderio, che non mi fece esitare a infilarti subito due dita nella fica sentendo le sue labbra aprirsi, così stretta, e cominciando a farti godere nel frattempo che l’altra mano afferrava i tuoi seni, facendoli uscire da quel vestitino per cominciare a leccarli.
La mia lingua che giocava con quei capezzoli, mentre io continuavo a farti impazzire alternando morsi a baci, mentre si inturgidivano sotto la mia lingua e fra i miei denti e quei baci che salivano sul collo mentre inarcavi la testa e le mie dita diventavano tre, penetrandoti e scopandoti con la mano come fosse il mio cazzo. Continuai così sempre più forte e sempre più voglioso di scoparti, ma mi trattenni e ad un certo punto, dopo un bacio e un morso su quelle labbra bollenti, cominciai a scendere, mentre aprivi di più le gambe e quelle autoreggenti a rete, sotto le mie mani a spalancarti quelle gambe per arrivare con la mia bocca ad assaporare il tuo sapore; il mio viso bagnato del tuo sapore mentre la mia bocca afferra le labbra della tua fica, mordendole e aprendole infilandoci dentro la lingua e cominciando a scoparti così, con la mia bocca mentre ansimi, mugolando di piacere continuando a gocciolare addosso a me, colando sul mio mento.
A quel punto mi sposti la testa dalle tue gambe e scendi abbassandoti davanti a me, lo ricordo come se fosse ora, “adesso tocca a me divertirmi” ricordo ancora quelle parole, quella voce, mentre mi guardi sbottonando i miei pantaloni, tirando fuori il mio cazzo così eccitato mentre te lo infili in bocca così ingorda, fino alla gola… fino alle palle… la tua lingua che sfiora le mie palle mentre me lo succhi tutto e lo riempi di saliva, il mio cazzo così duro e gonfio di desiderio per la mia puttana, gocciolante di te.
E’ come se fossi ancora lì, le mie mani fra i tuoi capelli che accompagnano i tuoi movimenti, prima piano, poi sempre più forte, sempre più violento, mentre te lo spingo fino in gola e sento che godi, guardo a terra e sotto le tue gambe stai bagnando il pavimento, ma ti ci lascio giocare ancora, perché mi stai facendo morire di piacere.
Ad un certo punto però non resisto, sono io a sollevarti e sbatterti su quel bancone a pecora, sollevandoti il vestitino fino ai fianchi, ti do uno schiaffo su quel culo, ‘vieni qui puttana!’ e ti passo il cazzo in mezzo a quel culotto, facendolo scivolare in mezzo alla tua fica e in un secondo sono dentro, anche se è così stretta, la sento che lo vuole e lo lasci entrare subito, bagnando la mia mano mentre infilo il mio cazzo. Ti tengo per il collo e comincio a sbatterti con forza, mentre cominci a urlare di piacere e per non farci sentire con l’altra mano ti tappo la bocca.
Senti quanto sono duro e bollente dentro di te, mentre ti scopo così forte da non darti tregua, riesci solo ad ansimare. Ti giri mentre sei piegata, allora ti schiaccio la faccia sul bancone e continui a guardarmi, con un sorriso da troia, così eccitante, mentre continuo a sbatterti con forza sento che stai per venire, la sento mentre me lo stringe e decido di trattenermi ancora, finchè non ti sento godere, intorno al mio cazzo, mentre stringo ancora il tuo collo e mentre goccioli a terra, sporcando tutto, bagnandomi fino alle palle, ma la cosa mi eccita così tanto che lo sfilo e ti sbrighi a inginocchiarti, per prenderlo di nuovo in bocca bagnato di te e sentirmi lasciare andare, mentre comincio a venire anche io, riempiendo quella bocca che tieni chiusa mentre lo bevi tutto, per poi aprirla e guardarmi, mostrandomi la tua bocca piena di me, del mio sperma caldo, ingoiando mentre mi sorridi e assapori tutto.
Non vidi più Perestroja dopo quella sera.
Tornai più volte in quel locale, ma stranamente quella sedia rimase sempre vuota.

Perestroja racconta
Come diceva la Mondaini? Che barba, che noia, che noia, che barba!
Sono qui in questo scialbo locale, dove tutti si accalcano a ballare della musica terribile bevendo drinks altrettanto scialbi, fingendo di essere persone interessanti ma in realtà tristemente uguali uno all’altro.
Mi guardo in giro, il barista è davvero carino ma le sue sopracciglia sono più curate delle mie quindi credo ci piaccia la stessa cosa. Intorno a me coppiette di ragazzini appena maggiorenni si scambiano felici la mononucleosi tra un metro di lingua e l’altro.
Noto un uomo in fondo al bancone, di un’età superiore alla media, piuttosto alto, in forma, capelli rasati, aspetto nell’insieme curato. Ha l’aria di uno di quelli che quando sbagli a scrivere qualcosa e la viene a correggere con la matita blu, che è per gli errori più gravi… sì sembra proprio un Professore, con quello sguardo austero mentre giudica la folla alle sue spalle! Mentre me lo immagino alla cattedra a picchiare il righello sulle dita degli studenti mi scappa un sorriso, proprio mentre lui mi sta guardando.
Lo vedo cambiare espressione mentre dal mio volto il suo sguardo percorre la poca stoffa del mio vestito e si sofferma sul bordo delle autoreggenti di pizzo, volutamente visibile. Quindi al Professore non interessano le ragazzine…
Volume 2Ma sì, sono sola, mi sto annoiando, i drinks sono pessimi… Quasi quasi mi svago un po’ con la cosa che so fare meglio, anche gratis stasera, voglio farlo solo per divertimento.
Incrocio ancora il suo sguardo, allora mi alzo e mi dirigo verso il guardaroba incustodito per l’estate, dandogli una rapida occhiata prima di sparire dentro alla stanza. Le luci sono spente ma da fuori i lampioni creano una piacevole luce, l’arredamento è spoglio, solo tre file di appendini ed un bancone vuoto.
Vedo la luce della sala da ballo entrare dalla porta che si sta aprendo rapidamente, direi che il Professore ha perfettamente colto il messaggio. Intravedo che si guarda in giro, così decido di mettere subito le mani avanti, letteralmente, posandogliele sul cavallo dei pantaloni e notando già un certo imbarzottimento.
“Cavolo che ragazzaccia che abbiamo qui” mi dice ignaro del soggetto, così mi avvicino al suo orecchio e metto subito in chiaro le cose “questa sera mi sento davvero troia, vuoi una fidanzatina da presentare ai genitori o vuoi scoparmi la fica come se fosse l’ultima notte su questo pianeta?”
Appena finita la frase mi afferra il polso e me lo allontana dai suoi pantaloni, accidenti questo cercava proprio la fidanzatina! penso, ma tempo zero ecco che mi acchiappa per i fianchi e con una forza inaspettata mi sbatte a sedere sopra al bancone!
L’abito già corto finisce arrotolato sulla pancia mentre mi spalanca le gambe per raggiungere a piena mano la mia fica già emozionata da quell’iniziativa così irruenta, considerando poi che ho sorvolato sul mettere le mutandine si è trovato la strada decisamente spianata.
Mi scopa la fica con le dita, prima due poi tre poi tutta la mano, con una manualità inaspettata per un tipo dall’aspetto così rigoroso, e con la mano libera mi tira fuori le gemelle già in contenimento precario nella profonda scollatura, iniziando a leccare e succhiare avidamente i capezzoli duri prima di salire fino al mio viso a rubare un bacio umido e caldo. Lascia il parco giochi per inginocchiarsi e aggiungere la lingua alle dita, provocandomi un maremoto che inizia a colarmi sulle gambe portandomi rapidamente al primo orgasmo.
Mi è stato insegnato che quando si riceve qualcosa di bello è giusto ricambiare, così recupero la forza nei muscoli e mi inginocchio davanti a lui, sbottonandogli i pantaloni e dicendogli “adesso tocca a me divertirmi”.
Glielo tiro fuori e inizio a bagnarlo con generose leccate prima di farlo sparire nella mia bocca fino a sentirlo sbattere contro la gola, mentre con una mano gli massaggio i gioielli di famiglia. Lo sento ansimare, gemere dal piacere, mentre il suo cazzo si fa sempre più duro contro la mia lingua, sto pensando sinceramente di farlo venire ma mi prende per i capelli e mi fa alzare di botto per poi sbattermi a pancia in giù sul bancone, finendo di sollevarmi il vestito prima di ficcarmelo dentro con la stessa energia di un impiegato postale degli anni 90 mentre picchia il pesante timbro sulla corrispondenza.
Per fortuna nel locale la musica è ancora alta perchè qui si sta facendo più rumore di una squadra di ragazzini che corre con gli infradito nella risacca, mentre batte ritmicamente il pube contro il mio tondo culo rumeno. Potrei essermi lasciata andare più del dovuto a livello vocale, perchè ad un certo punto mi trovo la sua mano sulla mia bocca che mi impedisce di continuare ad esternare la partecipazione. Sì, è vero, noi mignotte di solito urliamo più forte per eccitare il cliente, ma come anticipato non era una cosa di lavoro e me la stavo davvero spassando a essere scopata nella penombra di quello stanzino, come una qualunque ventenne il sabato sera. È a questo che penso mentre mi giro e gli sorrido, prima che lui decida di mettermi la mano intorno al collo per rimarcare il fatto che in quel momento mi sta possedendo, mi sta usando come una troia e non devo sorridere ma solo bagnarmi e farlo godere mentre aumenta il ritmo e quasi sposta il pesante bancone a forza di colpi.
Vengo, di nuovo, prepotentemente, colandogli addosso, bagnando le mie autoreggenti, i suoi pantaloni, il pavimento.
Lo sfila, ancora gonfio, così mi butto rapidamente in ginocchio per finire di farmi scopare la bocca e finalmente farmela riempire dalla sua calda sborra, che ripulisco fino all’ultima goccia guardandolo e sorridendogli ancora.
Mi rivesto rapidamente, cercando di sistemarmi alla bell’e meglio, e mi congedo sparendo in quella sala caotica. Forse lo incontrerò ancora, forse no.
Non so nemmeno il suo nome ma per me resterà sempre Er Professore.”

Interrogatece:

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